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AI Play, la Netflix dell’intelligenza artificialeEsiste un modo per spiegare l’intelligenza artificiale in maniera semplice? Sì, esiste. O almeno ne sono convinti Giacinto Fiore e Pasquale Viscanti, 42 anni il primo, 32 il secondo, originari di Altamura, dove ha sede la loro creatura: Intelligenza Artificiale spiegata semplice (in sigla, Iass). Il progetto è ambizioso: fare diventare la loro piattaforma video AI Play, dove ogni settimana ospitano un’intervista con scienziati, esperti della materia e manager, la Netflix dell’intelligenza artificiale.

L’idea, come spesso accade, nasce intorno a una scrivania: Fiore e Viscanti si occupano di commerciale e marketing per una grande azienda, condividono la stanza (“quando qualcosa non andava per il verso giusto ci tiravamo gli evidenziatori”, ricordano oggi), sono appassionati di tecnologia. Iniziano a esplorare i confini della IA. Come? Nel modo più semplice possibile: intervistano persone che ne sanno di più, gli esperti, registrano e diffondono pillole di sapere in podcast seguendo l’istinto: “Se interessa a noi, interesserà anche a qualcun altro”. La passione si trasforma in hobby e l’hobby assume presto le sembianze di una possibilità: abbandonare le certezze della scrivania e fondare una startup, che è poi una community di appassionati di intelligenza artificiale. Purché sia “spiegata semplice”, appunto.

Il grande salto arriva a marzo 2020. C’è il coronavirus, il diffondersi della pandemia porta al lockdown, Fiore e Viscanti sono reclusi ad Altamura e decidono che è il momento di dedicarsi al 100% alla loro creatura: è l’atto di nascita di “Intelligenza Artificiale spiegata semplice”. La community vanta oggi 16mila iscritti, con una parte consistente di abbonati ai servizi premium. Numeri buoni, ma che non bastano per sorreggere il business plan. Così Fiore e Viscanti, oltre ad AI Play, si inventano la AI Week, la Settimana dell’Intelligenza artificiale, giunta alla terza edizione che si terrà a maggio, e un Osservatorio Eccellenze IA che oggi conta 20 aziende del settore, con 50 milioni di fatturato e 500 progetti realizzati.

Come è nato questo sodalizio all’ombra dell’intelligenza artificiale?

Lavoravamo insieme in un’azienda che oggi fa parte del Gruppo Zucchetti. Stavamo nella stessa stanza: è qui che l’intelligenza artificiale ha iniziato ad affacciarsi nelle nostre vite. Volevamo comprendere cosa fosse e come poterla raccontare sul mercato. Su Google trovavamo tanti docenti universitari con le lezioni frontali agli alunni, articoli scientifici, perlopiù in inglese, ma molto poco in italiano. Quindi abbiamo iniziato a fare colloqui con le persone che conoscevamo per farci spiegare un po’ più a fondo cosa fosse l’intelligenza artificiale. Così ci è venuta l’idea di rendere queste lezioni disponibili a tutti, ovviamente con il consenso degli intervistati. Ne è nato un podcast con pillole audio delle interviste. Ci siamo accorti subito che c’era grande interesse sull'iniziativa, perché molte persone ci scrivevano per saperne di più.

E così arriva Intelligenza Artificiale spiegata semplice…

Nel febbraio del 2019 abbiamo pubblicato la prima puntata con i dati dell'Osservatorio del Politecnico di Milano. Ma era ancora un hobby. Poi a febbraio 2020 è scattato il lockdown: a quel punto abbiamo deciso di dedicarci totalmente a questo progetto perché si avvertiva che la IA sarebbe esplosa.

Come avete sviluppato il progetto?

C’erano alcuni elementi importanti che ci hanno guidato. Innanzitutto, gli utenti della community sui social che diventavano sempre più numerosi. C’era un riscontro positivo rispetto a quello che raccontavamo nel podcast, quindi, per cercare di raggiungere più persone, è nata l’idea di condensare i risultati del primo anno in un libro, che abbiamo intitolato in modo volutamente curioso e pop: L’intelligenza artificiale salverà i maiali?. Un’esperienza che ha funzionato e che abbiamo replicato quest’anno con il secondo libro, cioè Intelligenza Artificiale spiegata semplice.

Qual è il modello di business che vi consente di stare in piedi?

A maggio 2020 abbiamo fatto debuttare la AI Week, evento online sull'intelligenza artificiale, dove abbiamo coinvolto speaker e sponsor, aziende del settore che hanno investito e realizzato workshop. Questo è stato un passo importante, tanto che faremo la terza edizione. Il secondo passo è stato la realizzazione dell'Osservatorio, un network di aziende italiane che producono IA e che noi cerchiamo di accelerare con una serie di servizi di comunicazione e aiutandole a fare incontrare la domanda con l’offerta. Così valorizziamo la community, che ormai conta 16mila iscritti.

E quali servizi fornite alla community?

AI Play, la nostra piattaforma che vogliamo fare diventare una sorta di Netflix dell'intelligenza artificiale. Gli utenti possono accedere gratuitamente, ma per avere a disposizione tutto il catalogo di video, oltre quelli del professor Luciano Floridi e di Federico Faggin, inventore del microprocessore, è necessario sottoscrivere un accesso premium. Ma il grosso dei ricavi in questo momento arriva dalle aziende che producono IA e che sfruttano i nostri canali di comunicazione. Quindi produciamo eventi e realizziamo pacchetti speciali di visibilità per le 20 aziende dell’Osservatorio che hanno 500 progetti attivi e fatturano 50 milioni di euro complessivamente.

Che tipo di aziende sono?

Aziende italiane, molte sono spin-off delle università che si sono lanciate sul mercato, ma che non sanno come promuoversi a livello di comunicazione e si rivolgono a noi. Ma ci sono anche multinazionali, come Spitch, azienda americana con sede in Svizzera e presente anche sul mercato italiano. Operiamo con tutti, dal grande gruppo alla piccola startup, e stiamo diventando per il mercato anche acceleratori di business. Il nostro messaggio è che non serve ricreare un algoritmo se ce n’è già uno che funziona perfettamente su un determinato dominio applicativo, cioè che è inutile partire da capo se si trovano le tecnologie pronte per realizzare un progetto. L’Osservatorio nasce per rispondere a 3 criticità peculiari del mercato italiano: la prima è la mancanza di comunicazione all’interno dell’ecosistema di aziende che producono IA, e che quindi si trovano spesso a riprodurre cose già pronte; la seconda è la mancanza di un reparto marketing all’interno di queste aziende e di un reparto vendite che siano pronti a portarle sul mercato; la terza è che i manager, alla guida dei 4 milioni di aziende italiane, ancora non hanno compreso esattamente che cos’è la IA e come possono sfruttarla al meglio. L’Osservatorio è un contenitore di aziende che comunicano col mercato attraverso la nostra community. Quando queste aziende realizzano un progetto con un membro della community, è lì che noi finalizziamo il tutto, attraverso una percentuale che ci viene riconosciuta nel caso in cui si chiuda il business.

Un mercato in espansione…

Si stima che nel 2024 il volume d’affari delle IA nel mondo peserà 500 miliardi di dollari. Nel 2020 era di 281 miliardi e quest’anno chiuderà a 300 miliardi. Una corsa impressionante: nel 2024 diventerà un mercato primario.

E in Italia?

In Italia ci sono circa 500 aziende che producono soluzioni di IA per un volume di affari che, secondo i dati dell'Osservatorio del Politecnico di Milano, si aggira intorno a 300 milioni di euro. Vedremo quali saranno i dati nel 2022, ma non ci aspettiamo grandi cambiamenti perché non ci sono aziende che abbiano occupato il mercato in maniera importante. Ci possiamo aspettare un incremento al massimo del 10-15%, come è stato l'anno scorso rispetto al precedente. Stiamo parlando di un ritmo di crescita molto più lento rispetto al valore mondiale.

I motivi?

In Italia bisogna lavorare sulla cultura dell’adozione della tecnologia e non soltanto sulla tecnologia stessa. Non dobbiamo produrre il bicchiere di vetro e tenerlo in esposizione. Dobbiamo imparare a dare molta importanza a fare comprendere come quel bicchiere di vetro sia migliore di un bicchiere di plastica, quali siano i vantaggi, quali i benefici che porta all’interno dell’azienda. Per fare questo c’è soltanto una strada: si chiama divulgazione. Una piattaforma come AI Play è pronta per svolgere questa funzione: qualsiasi azienda italiana che produce IA può alzare la mano e dire “voglio aprire un canale sui AI Play dove comunicare e spiegare”.

C’è attenzione da parte dei media verso le IA?

C’è un lavoro importante da fare sulla divulgazione di questa tecnologia e questo è probabilmente un settore che i media dovrebbero coprire con maggiore attenzione. Nella strategia italiana per l’intelligenza artificiale, che è stata rilanciata non più tardi di 6 mesi fa, si parla in maniera molto chiara del ruolo della divulgazione in questo settore. Si fa il nome della Rai che, in quanto servizio pubblico, dovrebbe creare un canale di divulgazione televisiva per  spiegare in maniera oggettiva queste tecnologie, per fare comprendere che l’uomo è al centro del progetto. Su Rai Play c’è una miniserie con video di 20 minuti nei quali si cerca di spiegare cos’è l’intelligenza artificiale e qual è il suo impatto nei vari settori. Ma il volume d’affari è ancora troppo piccolo per attirare i grandi player della comunicazione.

A che punto siamo con la formazione?

Alla AI Week di quest'anno abbiamo inaugurato il Premio John McCarthy, che è l'inventore del termine intelligenza artificiale, rivolto a ricercatori universitari italiani. Abbiamo ricevuto 40 candidature che sono state esaminate da una giuria di esperti. Ha vinto Matteo Fabbri, dell’Università di Modena, che ha realizzato l’idea di sfruttare la computer vision per verificare il distanziamento sociale tra le persone, oggi già utilizzato anche nei concerti. Il problema non sono i talenti, che pure noi formiamo, il problema è che poi se li prendono aziende che stanno fuori dall’Italia. Purtroppo, la maggior parte dei nostri ricercatori in ambito IA vanno all’estero, anche per questo abbiamo voluto premiare chi ha fatto ricerca in Italia.

E così le aziende tecnologiche che vogliono assumere fanno fatica a trovare personale…

Evidentemente è un problema di formazione, ma è anche un problema di mercato: incontreremo Leonardo Bacciottini, primo laureato in Ingegneria quantistica all’Università di Pisa, che è già stato contattato da aziende americane, magari Ibm o Microsoft, che gli hanno probabilmente fatto offerte importanti con le quali le aziende italiane non riescono a competere. Quindi non è soltanto un problema di quantità di persone formate, la domanda da farsi è se le aziende italiane siano davvero in grado di competere sul mercato del lavoro nell’ambito IA. All'interno del nostro Osservatorio c’è un’azienda, si chiama Hyperable, che di mestiere fa proprio questo: lavora insieme alle università, soprattutto a Roma, per seguire gli studenti durante gli studi e non appena questi si laureano sono lì pronti fuori dalla porta con il contratto in mano. Il loro lavoro è raccogliere progetti dalle aziende e trovare studenti e laureati in grado di portarli avanti. C’è poco da recriminare se poi finiscono all’estero allettati da contratti e prospettive che in Italia non troverebbero. Le aziende dovrebbero finanziare la ricerca italiana nelle università, se vogliono davvero che i nostri studenti preferiscano restare in Italia piuttosto che andare all'estero.